
Non solo una replica a questo post di Simona Lancioni, ma un’occasione per affrontare i nodi fulcrali della questione intorno alla legge sul riconoscimento del caregiver familiare.
Una pronuncia che riguarda una lavoratrice part-time, di ente pubblico, unica caregiver di due familiari disabili e conviventi, sarà senza dubbio emblematica, ma la realtà dei caregiver familiari (e non) in Italia è assai più complessa. Se io non lavoro perché assisto h 24 mio figlio dalla nascita e sono coniugata, non rientro nella casistica contemplata dalla pronuncia. Così come se lavoro ma non per un ente pubblico, così come se assisto un solo congiunto. Quindi quella pronuncia, per quanto altisonante (l’ONU!) per me e per decine di migliaia di caregiver familiari italiani non vale.
Reso il concetto?
Le tutele per i caregiver familiari devono comprendere tutto ciò che riguarda lo status di lavoratore. L’assicurazione per infortuni, uno stipendio che ti permette di vivere dignitosamente, le ferie, la malattia, la pensione – il che implica che ad una certa età puoi riposarti finalmente e qualcuno prenderà il tuo posto.
Il caregiver è un lavoratore, non sceglie di assistere ma vi è costretto per la lacuna esistente nel nostro sistema sociosanitario discendente da un vacuum normativo, e solo grazie a questo lavoro il familiare assistito e amato vive una vita dignitosa.
Esiste di tutto, è vero, ma continuare ad insistere sugli abusi che potrebbero patire gli assistiti è qualcosa di malsano e offensivo nei confronti di chi si sacrifica in tutto e mai si sognerebbe di nuocere al proprio caro.
Facciamo invece un check in di RSA e RSD di cui abbiamo quasi quotidianamente notizia di maltrattamenti ed abusi! Noi Genitori Tosti l’abbiamo detto fino a perdere la voce e l’abbiamo scritto nel saggio “L’esercito silenzioso”: attorno ai caregiver familiari va costruita una rete di servizi e operatori attraverso gli enti locali sia pubblici che privati, sui territori. E questa organizzazione dei servizi dovrebbe essere normata da una legge regionale, cioè ogni regione dovrebbe, in base alla legge nazionale, stabilire il protocollo sul proprio territorio. É chiaro che se la legge nazionale latita, le Regioni si trovano senza base di partenza e non si capisce perché per esempio la Conferenza Stato Regioni non abbia mai fatto pressione su chi di dovere per ottenere la legge nazionale. Da quando il nostro saggio è uscito (fine gennaio 2022) due Regioni hanno emanato la loro legge: Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Nel primo caso abbiamo letto della protesta di associazioni che non erano nemmeno state interpellate mentre nel secondo tutto tace.
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