L’esercito silenzioso

Pubblichiamo in questa pagina le recensioni al libro “L’esercito silenzioso” che Alessandra Corradi e Giovanni Barin hanno pubblicato sul tema dei caregiver familiari.

L’esercito delle caregiver, che lavorano con i familiari (senza essere pagate)

Da “Il Fatto Quotidiano” del 23 marzo 2022

VOLONTARI PER NECESSITÀ – Alessandra Corradi e Giovanni Barin hanno condotto uno studio approfondito sulla categoria, definita per legge, che deve prendersi cura di un parente non autosufficiente. Nell’80% dei casi – secondo la loro indagine – si tratta di donne, che sacrificano il proprio mestiere e la propria indipendenza economica. Solo l’Italia non riconosce loro un sostegno consistente.

DI ELISABETTA AMBROSI
“Viviamo in un paese con una cultura obsoleta e maschilista, dove la donna è l‘ancilla’ per antonomasia, la serva, nel senso che si occupa di chiunque in famiglia ed è normale che lo faccia, ci si aspetta questo da lei in quanto donna e per ‘amore’. L’uomo è quello che procura il reddito e quindi va al lavoro, così come l’uomo preistorico usciva a cacciare. Ancora nel 2022, nel nostro paese è così: indistintamente a nord, centro e sud”. Alessandra Corradi, mamma di tre figli, di cui uno tetraplegico e cieco di diciassette anni, fondatrice dell’associazione “Genitori Tosti” è anche autrice, con Giovanni Barin, del saggio denuncia appena uscito “Caregiver. L’esercito silenzioso”. Libro in cui, tra le altre cose, è possibile trovare i risultati aggiornati di un sondaggio condotto dai due autori su un campione di 2000 caregiver, una piccola ma rappresentativa fotografia di questo esercito di persone che lavorano nell’ombra. Da cui emerge che l’80 per cento dei caregiver che hanno risposto è donna e due terzi di questo 80% non lavora per assistere il familiare non autosufficiente e non ha dunque alcun reddito. Dati che si avvicinano a quelli di recente pubblicati dal Centro Studi di Senior Italia FederAnziani, secondo cui il 71% dei caregiver familiari è donna e 3 su 4 familiari che si occupano di un anziano che ha bisogno di cure sono donne, che sei volte su dieci (60,9%) sottraggono tempo alle proprie attività per curare.

Se il 60% dei caregiver ‘non lavora’

Alessandra Corradi tiene a precisare che il caregiver è una figura definita: non sono, secondo le norme, caregiver le madri di neonati, e neanche le nonne di nipoti, anche se, nonostante questo, avere una stima dei numeri è difficile. “No, il caregiver è una categoria precisa, con una definizione legale per cui non sono più ammissibili lacune o confusioni: quanto recita il comma 255 della legge finanziaria del 2018, descrive chi è e cosa fa il caregiver familiare”. Ovvero persona che si prende cura e assiste un familiare che, a causa di malattie, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non è autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé. Insomma, spiega sempre Alessandra Corradi, “la tipologia deriva dalla condizione del familiare assistito: se ti nasce un figlio con gravi e multiple disabilità sei caregiver da subito, senza scampo. Ma può essere il tuo coniuge, che si ammali di una di quelle patologie a esordio tardivo ma progressive, che subisca un trauma da incidente o pesanti decorsi a causa delle cure oncologiche.
Ci sono anche fratelli e sorelle (i cosiddetti “sibling”) caregiver, e quindi esistono anche i caregiver minorenni, che sono i figli che accudiscono i propri genitori, spesso con patologia psichiatrica. Solo una parte sono figli anche molto adulti che hanno i genitori anziani con patologie dovute all’età. Eppure dappertutto si parla solo ed esclusivamente di quest’ultima tipologia, ignorando e contribuendo a far ignorare tutte le altre. Esistono anche uomini caregiver, ma sono una percentuale molto inferiore”.
Sempre secondo il censimento pubblicato nel libro, il 58,9% dei caregiver non lavora e tra questi il 22,9% non ha mai potuto lavorare, il 67,9% ha dovuto abbandonare e il 9,2% è in pensione. “Chi ha una mole di assistenza H24 lascia il lavoro, non è una scelta o una opzione, è un’imposizione dovuta al nostro sistema sanitario che non prevede tutto quello che serve per dare una vita dignitosa a queste famiglie”, spiega ancora l’autrice. Famiglie che sono spesso lasciate con la sola opzione di istituti come ghetti segreganti separati dalla società, mentre basterebbe una rete di servizi organizzata ed efficiente, con assistenti qualificati a domicilio, con un’assistenza da remoto grazie alla tecnologia che possa dare supporto ogni momento, per evitare l’alternativa tra dover lasciare il lavoro e confinare un malato per sempre.

Il rischio del burn out e qui 68 milioni scomparsi

Il problema di fondo è la qualità di vita di chi assiste. “Bassissima, molti caregiver spesso finiscono per strada, per non parlare del burn out del caregiver, che spesso fa sprofondare nella depressione o nella psicosi. Alcuni di noi per questo uccidono il proprio caro assistito e si suicidano perché non reggono il carico psicologico e non vedono via d’uscita”, spiegano gli autori.
Ma cosa vorrebbero i caregiver? Basta scorrere le risposte al questionario per avere un’idea chiara e univoca: “riconoscimento della fatica”, “part time senza dover ridurre lo stipendio”, “stipendio adeguato per chi non può lavorare”, “possibilità di farsi assumere dal parente disabile”, “figura a domicilio in caso di malattia del caregiver”, “diritto alla salute e al riposo”, “canale preferenziale per fare analisi e controlli perché i caregiver si ammalano”, figura a domicilio per 6-8 ore settimanali per permettere al caregiver di fare una doccia e uscire”, “assistenza nelle faccende domestiche”, “formazione per i caregiver”, “reversibilità ai figli”, “nessuna penalizzazione se si prende congedo straordinario”, “riconoscimento dei contributi figurativi”, “tutela pensionistica”, “pensione anticipata”, “scorporo dei risparmi del disabile dal calcolo Isee perché le famiglie risparmiano per il futuro di chi assistono”, “diritto alla pensione sociale”, “assicurazione infortuni/vita”, “una tutela per il “dopo di noi”.
Se le richieste sono chiare, al momento purtroppo sostegni strutturali ai caregiver non esistono, come non esiste neanche un censimento che dica quanti siano effettivamente. Sempre nella finanziaria 2018 è stato stabilito che il fondo creato dalla legislatura precedente dovesse finanziare la legge, i cui lavori sono iniziati con la nuova legislatura. Poi con il coronavirus si è fermato tutto (e tra l’altro i caregiver e i disabili sono gli unici a non aver ricevuto alcun sussidio durante la pandemia) e verso la fine del 2020 la ministra Bonetti ha deciso di dirottare il fondo di 75 milioni alle regioni stesse perché lo distribuissero ai caregiver con esiti per nulla chiari. Ebbene, “al momento, marzo 2022 non si sa chi ha usufruito o usufruisce da questi soldi dati alle regioni. Stiamo chiedendo a tutti gli assessori, i soldi non si sa dove siano finiti e perché da 75 milioni siano passati a 68”, spiega sempre Corradi. Ad oggi solo tre regioni hanno utilizzato i fondi, con criteri di volta in volta in volta diversi. Non solo: come evidenziato dal direttore del sito specializzato in disabilità HandyLex.org, Carlo Giacobini, i fondi destinati alle Regioni sarebbero limitati solo a chi assiste congiunti con disabilità gravissima, “escludendo tutte le situazioni, pur impegnative, in cui un familiare sia ‘solo’ disabile o borderline o altro”. Inoltre, come sempre in Italia, occorre come al solito passare sotto la tagliola dell’Isee, che spesso taglia fuori chi abbiente non è o sta cercando di accumulare risparmi per il futuro. Esiste ad esempio un bonus per genitori soli, occupati disoccupati con figlio disabile a carico: gli importi sono ridicoli (150 euro al mese), la percentuale di disabilità alta e l’Isee
assurdamente basso (3000 euro). In breve, di fatto, ad oggi quindi le misure sono a discrezione di regioni e comuni: l’Emilia Romagna ha una legge regionale, la città metropolitana di Roma prevede un assegno mensile di 700-800 euro. Ma non c’è una misura universale.

Il caregiver è un lavoratore. Punto

Il problema che causa dispersione di fondi e abbandono dei caregiver è a monte: il caregiver, questo chiedono tutte le associazioni, deve essere riconosciuto come lavoratore, e quindi avere stipendio, malattia, ferie e pensione, oltre a riconoscere prepensionamento e anni di contributi utili alla pensione per chi il lavoro è riuscito a conservarselo. Sono persone che non possono lavorare e che, dunque, hanno diritto a un lavoro. Nel manifesto dei caregiver dell’Associazione Gilo Care si chiede anche che non solo venga riconosciuto come lavoro usurante, ma che lo stipendio venga completamente svincolato dalla verifica del patrimonio esistente, perché ciò lede i diritti costituzionali di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Infatti “non è che un qualsiasi altro lavoratore viene retribuito solo se entro certe fasce Isee”, si legge.

Attualmente, i disegni di legge sui caregiver in esame al Senato sono tre e sono stati unificati in un unico testo, che, spiega sempre Carlo Giacobini, “restituisce la responsabilità e le iniziative alle singole Regioni ed evita di fissare un qualsiasi obiettivo di servizio, mentre rimanda sine die l’impegno dello Stato di intervenire in ambiti delicati come quelli previdenziali, di tutela della salute, malattie professionali, infortuni e altro”. Non solo. Resta nei disegni di legge il retropensiero di fondo per cui l’attività di caregiving “vada incentivata in quanto scelta volontaria e apprezzabile (…) anche se in moltissimi casi non è una scelta ma il risultato dell’assenza o della carenza di servizi territoriali sufficienti, adeguati, efficaci al sostegno delle persone e delle famiglie. Una condizione che – è utile ribadirlo – colpisce soprattutto le donne”.
Manco a dirlo, all’estero tutti hanno riconosciuto i caregiver familiari. “L’Inghilterra addirittura riconosce tutti gli anni in cui si è fatto caregiving ai fini pensionistici, cioè li riconosce come lavoro – qui da noi inizialmente c’era la proposta di riconoscere tre anni di contributi lavorativi ma poi ci hanno detto di aver fatto i conti e che assolutamente non ci sono i soldi. La scusa dei soldi è sempre buona nel nostro arretrato paese, ma a tutti fa comodo sfruttare milioni di persone, all’80 per cento donne e sgravare il bilancio dalle spese per l’assistenza alle persone”, conclude Corradi. Oggi, i caregiver, che chiedono un sostegno di tra 1000 e 1500 euro al mese, sperano nella petizione depositata a Bruxelles e nel lavoro di network delle associazioni di familiari assistenti di tutta Europa. Lavoro da cui scaturiranno nell’autunno linee guida elaborate dal Parlamento europeo a cui il nostro Paese si dovrebbe allineare. Mettendo fine, si spera, all’abbandono di chi ha dovuto lasciare tutto per dedicarsi notte e giorno alla cura sfinente di un malato cronico o disabile grave. Fantasmi, appunto, invisibili alla nostra politica e alle nostre istituzioni.

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