Che cosa abbiamo chiesto, noi GT, al Parlamento Europeo

Di seguito il testo (*) della petizione che abbiamo inviato al Parlamento Europeo a settembre 2021 che è stata accolta a fine marzo 2022.

L’effetto principale è stato quello dell’avvio di un’indagine per verificare che il nostro Governo avesse applicato ogni legge/direttiva e quant’altro in merito.

Vale davvero la pena rileggerne il testo, in un periodo in cui si parla di giustizia nel lavoro, di reddito minimo, di diritti dei lavoratori, di dignità delle persone, di pari opportunità,di politiche a favore delle donne e delle famiglie, di Europa.

Cogliamo anche l’occasione di augurare a tutti un sereno Natale.

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In Italia la Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1).

La Costituzione, in Italia, dice anche che:

-Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (art.3)

– La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. (art.35)

– Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

– La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

– Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali

retribuite, e non può rinunziarvi.

– La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. (art.37)

Inoltre ricordiamo che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – OHCHR recita:

1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.

2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. (art.23)

– Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite. (art.24)

– 1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

– 2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale. (art.25).

In Italia esistono almeno un milione di persone che hanno rinunciato al proprio lavoro e quindi non hanno reddito, per prestare assistenza continuativa h24 ad un proprio familiare coabitante.

L’ordinamento giuridico italiano ha definito queste persone caregiver familiari in base a quanto scritto nel comma 255 della Legge Finanziaria del 2018.

Il 90% di queste persone sono di sesso femminile.

Nel caso di donne/mamme di persona non autosufficiente dalla nascita, accade che l’assistenza dura anche 40 e più anni. Queste donne non percepiscono nessuno stipendio per il loro lavoro di cura e non hanno nessun tipo di riconoscimento per cui i servizi sociali territoriali o centrali predispongano interventi di tutela, sostegno, affiancamento, formazione e nel caso di malattia, sostituzione con personale adeguatamente formato. Spesso rinunciano a curarsi perché non sanno a chi affidare il proprio caro così come non si riposano mai, nemmeno la domenica, nemmeno di notte.

Nel caso di morte del caregiver e nel caso in cui il caregiver sia tutto il nucleo parentale esistente, l’assistito finisce chissà dove, in quale struttura e assistito chissà come.

Lo Stato Italiano non è in grado di fornire strutture, servizi e personale per sostituire l’encomiabile lavoro svolto dai caregiver familiari al proprio domicilio, che non si limita solo all’accudienza, ma si occupa di qualsiasi settore della vita compresa l’istruzione se il proprio caro è in età scolare.

L’associazione Genitori Tosti In Tutti I Posti

chiede

che il Governo italiano riconosca i caregiver familiari italiani che hanno rinunciato al lavoro per assistere il proprio caro come lavoratori e quindi li doti di ogni tutela connessa a questo status che significa stipendio, malattia, ferie e pensione.

Al Senato è tuttora giacente la legge che dovrebbe dare questo riconoscimento ma lo Stato italiano attraverso i suoi organismi non intende riconoscere il lavoro di queste persone, dichiara che non ci sono soldi per una simile operazione e che il massimo che si può fare è un bonus mensile fino a 500 euro, ovviamente con il meccanismo della richiesta ad esaurimento del fondo stanziabile che, in base alla legge finanziaria 2021 è di 30 milioni all’anno per il triennio 2021-22-23.

Però a livello regionale e comunale ci sono già assegni mensili, che non risolvono assolutamente il problema posto dall’assistenza e dal tipo di lavoro svolto dai caregiver familiari.

La legge italiana invece dovrebbe normare la categoria, dare la dignità di lavoratore a queste persone smettendo di discriminarle ed impedendo loro di avere un reddito dignitoso; inoltre la legge dovrebbe gestire le risorse e coordinare gli interventi sul territorio attraverso le leggi regionali – che mancano nel 70% del Paese.

L’associazione Genitori Tosti In Tutti I Posti chiede al Parlamento Europeo attraverso la commissione dedicata, ed in base alla Direttiva (UE) 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza recentemente approvata, di sollecitare al Governo italiano il riconoscimento dei caregiver familiari (intesi come persone che si occupano di un parente, con il quale coabitano e per il quale hanno rinunciato a lavorare, alla propria vita e a tutto per fare in modo che il proprio caro avesse un tenore dignitoso e il più possibile inclusivo) come lavoratori, in modo che queste persone abbiano un reddito come chiunque che svolge un lavoro e che sia loro riconosciuto il valore sociale del lavoro che svolgono.

Lo scorso anno una sentenza della corte costituzionale ha imposto al Governo italiano di aumentare la pensione delle persone con disabilità maggiorenni in stato di gravità (art.3 comma 3 legge 104/92) al minimo considerato dignitoso per vivere nel nostro paese e quindi oltre il doppio di quello che invece sarebbe la pensione mensile (287 euro).

Si parla, a livello europeo, di approvare il salario minimo, cioè un reddito da lavoro sotto al quale non si può scendere.

Noi crediamo che sia possibile trovare un reddito mensile dignitoso per i caregiver italiani e che sia sostenibile dalle casse statali del nostro Paese.

(*) questo testo è contenuto nel saggio “L’esercito silenzioso- i caregiver familiari italiani” di A. Corradi e G. Barin, disponibile qui

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L’esempio dello sport

Ndiaga Dieng è un atleta italiano che nelle gare degli Assoluti di atletica leggera a Rieti dello scorso fine settimana, 25 e 26 giugno, si è piazzato sesto nelle finali, con il tempo di 1:49.04. Il vincitore nonché neo campione italiano, Tecuceanu Catalin, ha fermato il tempo a 1:46.62.

Ndiaga Dieng ha partecipato ai giochi paralimpici di Tokyo 2020 (tenuti nel 2021 a causa dell’emergenza sanitaria) nella categoria T20, atleti con disabilità intellettiva relazionale, ottenendo la medaglia di bronzo nei 1500 metri e il quinto posto nei 400 metri.

Una persona, un atleta eccellente al quale va tutta la nostra stima e incoraggiamento.

Il fatto che una persona con disabilità partecipi alle competizioni assieme a chi disabilità non ha rappresenta un momento importante per molteplici motivi. Non è così scontato infatti che una persona, sebbene con doti e qualità di assoluto rilievo, abbia la possibilità di mescolarsi assieme a tutti alla pari. Diversamente da altre realtà, ad esempio quella scolastica o quella lavorativa, lo sport è senza dubbio un ambito dove conta maggiormente il lato della prestazione, grazie al quale il valore assoluto viene riconosciuto.

Più in generale, invece, il principale elemento di riflessione credo sia sul sistema sociale che classifica e divide sulla base del più forte, della prestazione migliore. Un sistema che in certi casi esalta la persona per le sue qualità fisiche, in altre non ce la fa ad estirpare la discriminazione, talvolta feroce, a danno di quelle stesse qualità.

E se gli atleti fossero realmente tutti assieme a gareggiare? Una cosa del genere aprirebbe all’evidenza della classificazione compiuta su ognuno di noi; ad interrogarci sul concetto del miglioramento, della crescita continua, dello sfruttamento; sulla sua consistenza e utilità.

Sarà possibile vedere atleti con e senza disabilità in un’unica Olimpiade? Esiste un sistema che accolga tutti equamente senza pregiudizi?

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Di sentenza ferisce…

Lo scorso 15 settembre, dopo la sentenza del TAR che annullava il Decreto 182/2020 sul nuovo PEI, scrivevamo:

Abbiamo già scritto delle criticità che aveva il decreto. Gli elementi che erano stati promossi dal Decreto 182/2020 facevano tuttavia pendere nettamente in positivo il bilancio inclusivo.

Se la qualità dell’inclusione scolastica non ha un limite nel costruire un efficace progetto di vita, è importante arginare le cadute verso la discriminazione che possono essere generate da una scuola esclusiva.

Da oggi quell’argine non c’è più. E le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti con disabilità sanno chi ringraziare.

“Ringraziare” chi aveva promosso quel ricorso, ovviamente. Oggi ringraziamo il Consiglio di Stato per aver annullato quella sentenza del TAR, ripristinando di fatto il Decreto 182/2020. In particolare, crediamo importante questo passo della sentenza odierna:

Il decreto impugnato, infatti, disciplina l’assegnazione delle misure di sostegno ed il modello di PEI da adottare da parte delle istituzioni scolastiche. Si tratta di aspetti evidentemente attuativi, di natura tecnica, che chiariscono i criteri di composizione e il modo di operare dei gruppi di lavoro l’inclusione e che mirano ad uniformare a livello nazionale le modalità di redazione dei P.E.I.

Proprio ciò che affermavamo: serve una visione ampia della situazione, senza la quale prevalgono interessi limitati e non certo per tutte e tutti, alunne e alunni con disabilità.

È quindi stato purtroppo perso un anno scolastico prezioso. Un altro anno. E altro tempo si perderà per tornare a lavorare su ciò che era stato interrotto. Tuttavia, meglio tardi che mai.

Adesso la priorità sia di correggere a livello istituzionale le criticità del Decreto 182/2020 e si trovino le strategie per arrivare all’inizio del prossimo anno con una prospettiva inclusiva per tutti, senza dimenticare che la scuola deve essere messa nelle condizioni di lavorare in modo e con tempistiche sensate.

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L’esercito delle caregiver, che lavorano con i familiari (senza essere pagate)

Da “Il Fatto Quotidiano” del 23 marzo 2022

VOLONTARI PER NECESSITÀ – Alessandra Corradi e Giovanni Barin hanno condotto uno studio approfondito sulla categoria, definita per legge, che deve prendersi cura di un parente non autosufficiente. Nell’80% dei casi – secondo la loro indagine – si tratta di donne, che sacrificano il proprio mestiere e la propria indipendenza economica. Solo l’Italia non riconosce loro un sostegno consistente.

DI ELISABETTA AMBROSI
23 MARZO 2022

“Viviamo in un paese con una cultura obsoleta e maschilista, dove la donna è
‘ancilla’ per antonomasia, la serva, nel senso che si occupa di chiunque in
famiglia ed è normale che lo faccia, ci si aspetta questo da lei in quanto donna e per
‘amore’. L’uomo è quello che procura il reddito e quindi va al lavoro, così come
l’uomo preistorico usciva a cacciare. Ancora nel 2022, nel nostro paese è così:
indistintamente a nord, centro e sud”. Alessandra Corradi, mamma di tre figli, di
cui uno tetraplegico e cieco di diciassette anni, fondatrice dell’associazione
“Genitori Tosti” è anche autrice, con Giovanni Barin, del saggio denuncia
appena uscito “Caregiver. L’esercito silenzioso”. Libro in cui, tra le altre cose, è
possibile trovare i risultati aggiornati di un sondaggio condotto dai due autori su un
campione di 2000 caregiver, una piccola ma rappresentativa fotografia di questo
esercito di persone che lavorano nell’ombra. Da cui emerge che l’80 per cento dei
caregiver che hanno risposto è donna e due terzi di questo 80% non
lavora per assistere il familiare non autosufficiente e non ha dunque alcun
reddito. Dati che si avvicinano a quelli di recente pubblicati dal Centro Studi di
Senior Italia FederAnziani, secondo cui il 71% dei caregiver familiari è donna e 3 su 4
familiari che si occupano di un anziano che ha bisogno di cure sono donne, che sei
volte su dieci (60,9%) sottraggono tempo alle proprie attività per curare.

Se il 60% dei caregiver ‘non lavora’

Alessandra Corradi tiene a precisare che il caregiver è una figura definita: non sono, secondo le norme, caregiver le madri di neonati, e neanche le nonne di nipoti, anche se, nonostante questo, avere una stima dei numeri è difficile. “No, il caregiver è una categoria precisa, con una definizione legale per cui non sono più ammissibili lacune o confusioni: quanto recita il comma 255 della legge finanziaria del 2018, descrive chi è e cosa fa il caregiver familiare”. Ovvero persona che si prende cura e assiste un familiare che, a causa di malattie, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non è autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé. Insomma, spiega sempre Alessandra Corradi, “la tipologia deriva dalla condizione del familiare assistito: se ti nasce un figlio con gravi e multiple disabilità sei caregiver da subito, senza scampo. Ma può essere il tuo coniuge, che si ammali di una di quelle patologie a esordio tardivo ma progressive, che subisca un trauma da incidente o pesanti decorsi a causa delle cure oncologiche.
Ci sono anche fratelli e sorelle (i cosiddetti “sibling”) caregiver, e quindi esistono anche i caregiver minorenni, che sono i figli che accudiscono i propri genitori, spesso con patologia psichiatrica. Solo una parte sono figli anche molto adulti che hanno i genitori anziani con patologie dovute all’età. Eppure dappertutto si parla solo ed esclusivamente di quest’ultima tipologia, ignorando e contribuendo a far ignorare tutte le altre. Esistono anche uomini caregiver, ma sono una percentuale
molto inferiore”.
Sempre secondo il censimento pubblicato nel libro, il 58,9% dei caregiver non lavora e tra questi il 22,9% non ha mai potuto lavorare, il 67,9% ha dovuto abbandonare e il 9,2% è in pensione. “Chi ha una mole di assistenza H24 lascia il lavoro, non è una scelta o una opzione, è un’imposizione dovuta al nostro sistema sanitario che non prevede tutto quello che serve per dare una vita dignitosa a queste famiglie”, spiega ancora l’autrice. Famiglie che sono spesso lasciate con la sola opzione di istituti come ghetti segreganti separati dalla società, mentre basterebbe una rete di servizi organizzata ed efficiente, con assistenti
qualificati a domicilio, con un’assistenza da remoto grazie alla tecnologia che possa dare supporto ogni momento, per evitare l’alternativa tra dover lasciare il lavoro e confinare un malato per sempre.

Il rischio del burn out e qui 68 milioni scomparsi

Il problema di fondo è la qualità di vita di chi assiste. “Bassissima, molti caregiver
spesso finiscono per strada, per non parlare del burn out del caregiver, che spesso fa
sprofondare nella depressione o nella psicosi. Alcuni di noi per questo uccidono il
proprio caro assistito e si suicidano perché non reggono il carico psicologico e non
vedono via d’uscita”, spiegano gli autori.
Ma cosa vorrebbero i caregiver? Basta scorrere le risposte al questionario per
avere un’idea chiara e univoca: “riconoscimento della fatica”, “part time senza dover
ridurre lo stipendio”, “stipendio adeguato per chi non può lavorare”, “possibilità di
farsi assumere dal parente disabile”, “figura a domicilio in caso di malattia del
caregiver”, “diritto alla salute e al riposo”, “canale preferenziale per fare analisi e
controlli perché i caregiver si ammalano”, figura a domicilio per 6-8 ore settimanali
per permettere al caregiver di fare una doccia e uscire”, “assistenza nelle faccende
domestiche”, “formazione per i caregiver”, “reversibilità ai figli”, “nessuna
penalizzazione se si prende congedo straordinario”, “riconoscimento dei contributi
figurativi”, “tutela pensionistica”, “pensione anticipata”, “scorporo dei risparmi del
disabile dal calcolo Isee perché le famiglie risparmiano per il futuro di chi assistono”,
“diritto alla pensione sociale”, “assicurazione infortuni/vita”, “una tutela per il “dopo
di noi”.
Se le richieste sono chiare, al momento purtroppo sostegni strutturali ai
caregiver non esistono, come non esiste neanche un censimento che dica quanti
siano effettivamente. Sempre nella finanziaria 2018 è stato stabilito che il fondo
creato dalla legislatura precedente dovesse finanziare la legge, i cui lavori sono
iniziati con la nuova legislatura. Poi con il coronavirus si è fermato tutto (e tra l’altro
i caregiver e i disabili sono gli unici a non aver ricevuto alcun sussidio durante la
pandemia) e verso la fine del 2020 la ministra Bonetti ha deciso di dirottare il fondo
di 75 milioni alle regioni stesse perché lo distribuissero ai caregiver con esiti per
nulla chiari. Ebbene, “al momento, marzo 2022 non si sa chi ha usufruito o
usufruisce da questi soldi dati alle regioni. Stiamo chiedendo a tutti gli
assessori, i soldi non si sa dove siano finiti e perché da 75 milioni siano passati a 68”,
spiega sempre Corradi. Ad oggi solo tre regioni hanno utilizzato i fondi, con
criteri di volta in volta in volta diversi. Non solo: come evidenziato dal
direttore del sito specializzato in disabilità HandyLex.org, Carlo Giacobini, i fondi
destinati alle Regioni sarebbero limitati solo a chi assiste congiunti con disabilità
gravissima, “escludendo tutte le situazioni, pur impegnative, in cui un familiare sia
‘solo’ disabile o borderline o altro”. Inoltre, come sempre in Italia, occorre come al
solito passare sotto la tagliola dell’Isee, che spesso taglia fuori chi abbiente non è o
sta cercando di accumulare risparmi per il futuro. Esiste ad esempio un bonus per
genitori soli, occupati disoccupati con figlio disabile a carico: gli importi sono
ridicoli (150 euro al mese), la percentuale di disabilità alta e l’Isee
assurdamente basso (3000 euro). In breve, di fatto, ad oggi quindi le misure
sono a discrezione di regioni e comuni: l’Emilia Romagna ha una legge regionale, la
città metropolitana di Roma prevede un assegno mensile di 700-800 euro. Ma non
c’è una misura universale.

Il caregiver è un lavoratore. Punto

Il problema che causa dispersione di fondi e abbandono dei caregiver è a monte: il
caregiver, questo chiedono tutte le associazioni, deve essere riconosciuto come
lavoratore, e quindi avere stipendio, malattia, ferie e pensione, oltre a
riconoscere prepensionamento e anni di contributi utili alla pensione per chi il
lavoro è riuscito a conservarselo. Sono persone che non possono lavorare e che,
dunque, hanno diritto a un lavoro. Nel manifesto dei caregiver
dell’Associazione Gilo Care si chiede anche che non solo venga riconosciuto
come lavoro usurante, ma che lo stipendio venga completamente svincolato dalla
verifica del patrimonio esistente, perché ciò lede i diritti costituzionali di uguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge. Infatti “non è che un qualsiasi altro lavoratore viene
retribuito solo se entro certe fasce Isee”, si legge.
Attualmente, i disegni di legge sui caregiver in esame al Senato sono tre e
sono stati unificati in un unico testo, che, spiega sempre Carlo Giacobini,
“restituisce la responsabilità e le iniziative alle singole Regioni ed evita di fissare un
qualsiasi obiettivo di servizio, mentre rimanda sine die l’impegno dello Stato di
intervenire in ambiti delicati come quelli previdenziali, di tutela della salute, malattie
professionali, infortuni e altro”. Non solo. Resta nei disegni di legge il retropensiero
di fondo per cui l’attività di caregiving “vada incentivata in quanto scelta volontaria e
apprezzabile (…) anche se in moltissimi casi non è una scelta ma il risultato
dell’assenza o della carenza di servizi territoriali sufficienti, adeguati, efficaci al
sostegno delle persone e delle famiglie. Una condizione che – è utile ribadirlo –
colpisce soprattutto le donne”.
Manco a dirlo, all’estero tutti hanno riconosciuto i caregiver familiari.
“L’Inghilterra addirittura riconosce tutti gli anni in cui si è fatto caregiving ai fini
pensionistici, cioè li riconosce come lavoro – qui da noi inizialmente c’era la
proposta di riconoscere tre anni di contributi lavorativi ma poi ci hanno detto di aver
fatto i conti e che assolutamente non ci sono i soldi. La scusa dei soldi è sempre
buona nel nostro arretrato paese, ma a tutti fa comodo sfruttare milioni di persone,
all’80 per cento donne e sgravare il bilancio dalle spese per l’assistenza alle persone”,
conclude Corradi. Oggi, i caregiver, che chiedono un sostegno di tra 1000 e
1500 euro al mese, sperano nella petizione depositata a Bruxelles e nel lavoro di
network delle associazioni di familiari assistenti di tutta Europa. Lavoro da cui
scaturiranno nell’autunno linee guida elaborate dal Parlamento europeo a cui il
nostro Paese si dovrebbe allineare. Mettendo fine, si spera, all’abbandono di chi ha
dovuto lasciare tutto per dedicarsi notte e giorno alla cura sfinente di un malato
cronico o disabile grave. Fantasmi, appunto, invisibili alla nostra politica e alle
nostre istituzioni.

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CORRO DA TE – ma fammi vedere come cammini

Lunedì sera ero in missione GT, per l’anteprima del film “Corro da te” proiettata al Cinema The Space Odeon in centrissimo a Milano, a due passi dal Duomo. 

Questo film è stato girato nel 2020, ma per tutto quanto ha causato il Covid, è stato presentato solo adesso e oggi 17 marzo, uscirà in 500 sale italiane.

Riccardo Milani, il regista – che ha diretto tra l’altro anche il fantastico “Benvenuto presidente” o i due favolosi “Come un gatto in tangenziale”, nel fare la presentazione, ha detto una cosa che, all’inizio non ho capito, ma poi, nel corso del film era evidente: “Per rappresentare l’Italia nei miei film uso la parte peggiore”.

In effetti nell’originale francese di cui questa pregevole pellicola è un remake, non c’era tutta quella cattiveria nel protagonista, anzi lui era più un pasticcione involontario che un bugiardo pianificatore. 

Noi italiani ci distinguiamo sempre, nel bene e nel male, e quando si tratta di disabilità siamo appunto cattivi, discriminanti, abusanti, abilisti, falsi, prepotenti, ignoranti.

Il protagonista, interpretato da un Pierfrancesco Favino che non necessita di nessuna presentazione, è la quintessenza del gravemente normodotato, ricco imprenditore spocchioso, emulo di Don Giovanni alla vaccinara.

La sua partner è una dolce, angelicata ma assolutamente realista e solida Miriam Leone – sulla sedia a rotelle.

Il cast, a cornice dei due protagonisti, è tutto bravissimo – Vanessa Scalera che canta al karaoke mi mancava, il venetissimo Andrea Pennacchi in abito talare anche – menzione a Piera degli Esposti, non solo perché è stata la sua ultima interpretazione ma proprio perché il suo personaggio nel film è mitologico.

Non sono qui per fare una recensione cinematografica, perché non mi compete, posso dirvi che il film è ben fatto, si ride, godevole soundtrack, ottima fotografia.

Il motivo per cui ne sto scrivendo è perché speriamo sia la volta buona che serva anche a cambiare la cultura corrente nel nostro Paese, dando finalmente un forte segnale – così come successe per “Quasi amici”, altra bellissima pellicola francese.

Quello che non potete sapere di questo film è che ci sono state delle associazioni che hanno fatto consulenza al cast per affrontare al meglio la tematica e risultare credibili e veritieri e non produrre invece la solita concentrazione di pessime figure, come spesso accade, del tipo di quelle che abbiamo visto a San Remo oppure alla semifinale di GF Vip, dove Signorini ha intervistato Manuel Bortuzzo suscitando la legittima reazione del  Comitato Nazionale Antidiscriminatorio per Persone con Disabilità

Per i cosiddetti normo, forse, questo film  sarà una bella “sberla” specie per certi luoghi comuni, per noi che invece bazzichiamo il mondo della disabilità applaudiamo forte.

E ringraziamo di tutto questo Peba Onlus: grazie a tutti i soci che hanno contribuito a diffondere la giusta cultura sulla disabilità, che significa anche sdrammatizzare e ironizzare: sono stati talmente bravi che in alcune occasioni abbiamo riso solo noi di GT e il nostro vicino, il cantante lirico Federico Martello (che è in sedia a rotelle).

Per me, che ho un figlio tetraplegico, per cui indirettamente sperimento tutte le situazioni che emergono nel film, è stata una specie di “rivincita” di tutte quelle troppe volte che ci siamo dovuti sorbire il comportamento abilista delle persone.

Questa anteprima è stata importante anche perché in sala erano presenti membri delle istituzioni locali, del Comune e della Regione, associazioni da tutta Italia e aziende che, sicuramente, grazie alla settima arte, hanno imparato molto sull’inclusione sociale. 

Un grazie al personale del cinema, organizzazione perfetta e grazie ad Andrea Ferretti, il presidente di Peba ONLUS che ci ha offerto questa esperienza importante e per me nuova.

Se da stasera fino a domenica non sapete cosa fare andate a vedervi questo film e soprattutto testate anche l’accessibilità dei cinema. 

Ci siamo capiti. 

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