2) attendete la e-mail di conferma che verrà inviata all’indirizzo mail che avete inserito durante la registrazione. Aprite la mail e cliccate sul link che conferma il vostro indirizzo mail;
3) procedete cliccando il link qui di seguito per caricare la pagina del sito delle Petizioni del Parlamento Europeo:
e poi sul pulsante “sostieni petizione”. Si apre la pagina della petizione e in basso cliccare il pulsante “sostieni”.
E’ un po’ macchinoso, ma più complicato descriverlo che a farsi.
Se non dovesse funzionar eil link qui sopra, potete cercare la petizione inserendo nel riquadro “ricerca rapida in “Petizioni” il numero 0981/2021.
Vi chiediamo due minuti di tempo per fare un gesto davvero molto importante per tutte e tutti i caregiver.
Grazie a tutti!
Vi ricordo che a settembre l’Europa emetterà la direttiva sul lavoro di cura e la Genitori Tosti contribuisce ai lavori in rappresentanza del nostro Paese.
Forza perciò: date peso alla petizione sottoscrivendola!
Come sapete non tutti leggono in nero, cioè le parole stampate sulla carta o i testi digitali.
Pensiamo ai ciechi che, se non sono della sola generazione del Braille, sicuramente usano le sintesi vocali e quindi i testi per loro sono audio oppure tattili, soprattutto per i bambini.
Pensiamo alle persone con disabilità intellettiva che, se hanno fortuna, sono affiancate a scuola da assistenti alla comunicazione esperti in CAA e che traducono i testi appunto in questa modalità.
Pensiamo alle persone di madrelingua straniera, per esempio i minori che arrivano nelle nostre scuole che hanno un tempo fisiologico per imparare la nostra lingua, ma, nel frattempo, come fanno a comunicare?
Pensiamo a tutte quelle situazioni in cui in seguito ad un decadimento cognitivo – e non necessariamente legato all’età avanzata, anche un trauma da incidente, la comprensione di un testo scritto è inaccessibile.
Ecco quindi che ci vengono in aiuto i libri cosiddetti “modificati”.
Purtroppo ancora nel nostro Paese l’editoria relativa stenta, la diffusione di questi testi nelle scuole pure e non ci aiuta granché la più grande fiera libraria nazionale, dalla risonanza anche europea.
I libri modificati, se ci sono, esistono grazie a manipoli di persone molto informate dei fatti e la produzione è spesso artigianale, nel senso che non esiste un progetto commerciale di base e quindi i libri che vengono creati sono magari di una qualità eccellente, ma rimangono in copie uniche.
Poi c’è il grande problema, per esempio nella CAA, delle licenze per cui non è che se uno vuole tradurre un libro in CAA può farlo – e metterlo in commercio.
Così mi sono chiesta ma se uno volesse leggere qualcosa, magari in una biblioteca, dove può rivolgersi?
Allora: cosa c’è di meglio che girare i propri quesiti direttamente agli esperti?
Ho fatto un post, due settimane fa nel favoloso gruppo Fb “Biblioteche e bibliotecari italiani” (12.360 membri) e queste sono state le risposte, nel giro di 48 ore:
1) Giacomo Tortorici – Noi come Sistema Castelli Romani ,dopo aver organizzato e fatto fare un corso a due nostre bibliotecarie, insieme ad insegnanti di sostegno e AEC, abbiamo una sezioncina Caa e le indicazioni della Biblioteca di Genzano di Roma.
2) Laura Garbolino – Presso l’Università di Torino Dipartimento di matematica esiste il Laboratorio Polin (https://www.facebook.com/integrabile/) che realizza volumi accessibile per gli utenti ipovedenti con un embrione di biblioteca accessibile. Da un lato il Laboratorio ricerca e sviluppa tecnologie per l’accesso e la produzione di contenuti scientifici digitali; dall’altro sperimentazione e disseminazione sul territorio delle tecnologie assistive esistenti.
3) Valeria Patregnani – Alla MEMO – Mediateca Montanari abbiamo uno scaffale speciale abbastanza ricco. ( Fano, nelle Marche N.d.O.)
4) Stefania Bonfanti – Noi abbiamo una sezione ancora ridotta perché nata da poco ma la arricchiamo piano piano – biblioteca Villa Raggio di Pontenure in provincia di Piacenza.
5) Patrizia Fruet -Nella Biblioteca Comunale di Pergine Valsugana abbiamo una – per ora – piccola sezione di albi illustrati e libri per bambini in CAA e libri tattili.
6) Morre Cristiano D. Bortolacelli – Anche noi in biblioteca comunale a Rio Saliceto (RE) abbiamo una sezione dedicata per i libri CAA.
7) Angela Ciucchi – Alla Biblioteca di Pontassieve li abbiamo!
9) Cinzia Anastasia – Alla Biblioteca dell”Istituto dei sordi di Pianezza ne abbiamo un po’
10) Anna Crollari – Anche noi una piccola sezione a Novi Ligure
11) Ilaria Rampoldi – Nella biblioteca di Barlassina sezione apposita per libri in caa e alta leggibilità.
Aggiungo poi, da mia semplice ricerca su Google questo e questo .
Probabilmente esistono molte altre biblioteche, con piccole sezioni dedicate, perciò lancio il sassolino: aggiungetele nei commenti, grazie.
Poi sarebbe bello se qualcuno avesse voglia di fare una pagina internet/sito in cui vengono raccolte tutte queste sezioni in modo poi da metterlo a disposizione di docenti, educatori, terapisti , genitori e lettori in maniera che, finalmente, la cultura dei libri modificati diventi un patrimonio condiviso e accessibile al più grande maggior numero possibile di lettori.
Poi ci potrebbe essere lo scambio di copie (che, ricordo, a causa dell’artigianalità come nel caso dei libri tattili, sono sempre in esemplari unici) per replicarle, come una volta succedeva per i codici miniati. Potrebbe essere anche un buon imput per editori che, finalmente si interessano a questo mercato e aumentano i prodotti – finora l’unica casa editrice che mi sovviene è Uovo Nero.
Ultima idea: organizzate – sì presso le biblioteche – questi templi preziosi che dovrebbero essere presi d’assalto – concorsi invitando i partecipanti a realizzare libri modificati o tutorial oppure fate diventare i corsi CAA una routine, perchè no?
Noi, Genitori Tosti siamo a disposizione per qualsiasi iniziativa e azione facilitante, se il risultato è apportare un vantaggio comune e un progresso culturale.
Ringrazio gli admin e i bibliotecari del gruppo ” Biblioteche e bibliotecari italiani”.
In foto: la sezione dei libri in CAA del Sistema Castelli Romani
“Faccio il giornalista dal 1997. Ho cominciato nel Mucchio Selvaggio, dopo alcuni articoli nella fanzine universitaria Zonedombra curata dall’amico Gianluca Dejan Gori. Negli anni ho scritto per Il Manifesto, Il Riformista, L’Espresso, Rigore, MicroMega, Hard Gras (pubblicazione olandese), Linea Bianca, Tennis Magazine, Grazia, Donna Moderna, etc.
Dal 2005 al 2011 ho firmato su La Stampa. Mi occupavo principalmente di cultura e spettacoli, ma tra il 2009 e il 2011 ho fatto anche l’inviato per il motomondiale. Da settembre 2011 sono definitivamente passato al Fatto Quotidiano,(…)”.
Questo è ciò che si legge sulla pagina “chi sono” del sito andreascanzi.it
Chiedo scusa, ho dovuto andare a documentarmi perchè per me Andrea Scanzi era, prima di ieri, solo un nome noto.
Scopro, quindi, che una persona talmente eclettica, sicuramente coltissima, che fa una vita intensissima, non ha mai perso, manco per sbaglio, 5 minuti del suo tempo, per andarsi a leggere qualcosa sul caregiver. Giusto così, per non andare a scrivere, sul proprio profilo facebook cose del tipo:
“Leggo persino ironie sul mio “ruolo” di figlio. Premesso che lascio il significato e i confini esatti (assai scivolosi) del “caregiver” ad altri, per una volta hanno ragione i latratori di professione: se caregiver è colui che dà la vita per assistere gli altri, allora sono mio padre e mia madre ad essere i caregiver del sottoscritto. Non viceversa.
Entrambi hanno una cartella clinica che giustifica eccome la qualifica di fragili (e mi perdonerete se non andiamo oltre perché sono cazzi nostri), ma mia madre e mio padre sono molto più forti, giovani, dinamici, grintosi, generosi e caregiver di me. Per distacco.”.
Mi permetto perciò di segnalare al signor Andrea Scanzi che esiste la definizione certa, esatta, perimeratata da confini e assolutamente non scivolosa della parola caregiver che va a designare un profilo preciso e che è contenuta nel comma 255 della legge 205 del 2017.
‘E la definizione giuridica, cioè “per legge”: quello e solo quello contenuto in quel comma significa caregiver.
Invito questo signore ad andare a leggersi il comma.
Lei signor Andrea Scanzi corrisponde alla definizione contenuta in quel comma, o meglio lei assiste entrambi i suoi genitori che non sono autosufficienti e certificati in quanto tali?
Non è per farsi i fatti suoi, creda.
Immagino che esista una carta in cui è lei o qualcuno che compilava per lei ha barrato l’opzione caregiver, per richiedere e motivare la somministrazione del vaccino.
E immagino che questa carta sarà stata visionata sia dalla dirigenza sanitaria, sia dalla procura di Arezzo, che ora ha aperto un fascicolo.
Vorrei che fosse chiaro a tutti che questo signore ha fatto benissimo a sfruttare l’occasione di non far buttar via una dose di vaccino che non poteva essere recuperata – ricordiamoci che sono soldi dello Stato che vengono buttati, se una dose non viene utilizzata.
Ciò che non ha fatto bene è stato quello di dichiarare ciò che non è, se davvero non lo è, per ottenerla.
Sta tutto qui il casus belli, eppure in tantissimi, ad iniziare dal diretto interessato, proprio non lo capiscono o fanno credere di non capirlo.
Noi che caregiver lo siamo davvero, che lo siamo da lustri, che pure siamo attivisti e da anni tentiamo di dialogare con i politici perchè scrivano una buona legge su di noi, che finalmente ci permetta di fare una vita dignitosa e ci riconosca il valore di quello che facciamo, siamo rimasti davvero di sasso a leggere tutto quanto abbiamo letto e, in parte, scritto direttamente dal Signor Andrea Scanzi.
Quello che, inoltre, mi fa molto pensare è che il viceministro alla salute, Pierpaolo Sileri, che appartiene al partito 5S, abbia dichiarato che la procedura seguita dal Sig. Scanzi sia corretta.
Questo viceministro, che è anche un chirurgo nella vita (leggo da Wikipedia), ignora che proprio due sue colleghe di partito, senatrici, sono una (Simona Nocerino) prima firmataria del DDL sul caregiver e l’altra (Barbara Guidolin) presidente del comitato ristretto che ha portato a quel DDL? Ignora anche che la presidente della commissione al Senato (Susy Matrisciano) che esamina detto DDL appartiene allo stesso suo partito? E che codesto partito, l’unico finora del variegato panorama politico italiano, ha dedicato un intero evento, in cui la sottoscritta ha partecipato come presidente dell’unica associazione italiana, regolarmente registrata, che chiede il riconoscimento del caregiver familiare come lavoratore?
L’evento si è svolto due settimane fa, è ancora reperibile online su Fb nel profilo della senatrice Giulia Lupo, anche lei 5S, che ha organizzato l’evento insieme all’assessore del comune di Roma Paolo Ferrara, pure lui dello stesso partito.
Ma se questo viceministro, come il signor Andrea Scanzi, non ha tempo per ascoltare oltre un’ora di evento, in cui tanti hanno partecipato, compresi anche i genitori del Municipio X di Roma che sono tutti caregiver, addirittura organizzati in comitato, può sempre vedersi lo speciale andato in onda domenica 21 marzo su Rai 1 a cura di Alessandro Gaeta, che è uno dei pochissimi giornalisti italiani che si occupa dell’argomento perchè, purtroppo, questo argomento non è considerato interessante per la stampa italiana.
Solo per sbaglio giusto una decina di giorni fa la parola caregiver ha inondato ogni media e ogni social grazie alla colossale gaffe del presidente della regione veneto Luca Zaia, che ci ha definiti autisti.
La sottoscritta, veneta, sta anche tentando di avere un dialogo con la sua regione, il Veneto appunto, sia per i fondi statali che devono essere distribuiti, sia perchè anche a livello regionale, deve essere fatta una legge sui caregiver e deve essere fatta bene.
Pleonastico aggiungere che al tavolo regionale per la disabilità siamo l’unica associazione di caregiver familiari presente.
Perciò chiediamo a questo signore Andrea Scanzi di informarsi correttamente e portare il legittimo rispetto che si deve a quasi 9 milioni di persone, il 90% donne, che hanno dovuto rinunciare al lavoro per assistere il loro caro NON AUTOSUFFICIENTE, di solito donne abbandonate da istituzioni, parenti, società etc e che assistono persone davvero con gravi o gravissime patologie invalidanti al 100%, completamente in solitudine.
A noi caregiver, quando facciamo domanda per avere una delle poche agevolazioni economiche esistenti (che si chiamano “Assegno di cura” generalmente) dobbiamo passare un esame per cui gli assistenti sociali vengono a casa nostra e ci fanno un sacco di domande, le cui risposte finiscono su un modulo. Poi si riunisce tutta una commissione formata da tanti specialisti che ci giudica e deve motivare perchè ci spetta l’aiuto economico. E stiamo parlando, magari, di 120 euro al mese.
E ogni anno dobbiamo, entro una certa scadenza, ripresentare l’ISEE aggiornato che certifichi che siamo abbastanza poveri e bisognosi per continuare a ricevere i nostri 120 euro al mese.
Immagino non vorrà nemmeno sapere, signor Andrea Scanzi, la fatica che facciamo per avere gli ausili che ci spettano per legge, ci sono caregiver che si sono incatenati alle porte degli ospedali per riavere la fornitura di cannule per l’alimentazione artificiale.
Così come ci sono caregiver che, totalmente sopraffatti e schiacciati dalla loro situazione senza uscite, decidono di uccidere il loro caro e poi di uccidersi a loro volta – ecco, di questo guai a parlarne ai giornalisti, proprio scappano di corsa!
Signor Andrea Scanzi inizia a capire perchè magari ci siamo un pelino imbufaliti a leggere che lei si è definito caregiver? Dice che siamo “latratori di professione” pure noi?
Sa cosa sarebbe davvero bello? Che lei, signor Andrea Scanzi, lei che lo fa di mestiere e sicuramente lo fa benissimo, scrivesse un libro su di noi, così finalmente tutti saprebbero. Ma questo non è un tema interessante, vero?
A beneficio di inventario metto il link al nostro report che grazie alle risposte di 1500 caregiver italiani ci da inequivocabilmente il quadro di chi siamo, cosa facciamo come viviamo e cosa ci aspettiamo dalla legge che prima o poi uscirà.
Nella foto in alto siamo noi, genitori e caregiver, con nostro figlio, dopo un soggiorno in ospedale per un suo tagliando.
Abbiamo scritto al presidente Rai Marcello Foa per proporgli di mandare in onda un programma in cui tutti quelli che ci lavorano, dal cameraman, alla guardarobiera, ai conduttori etc, siano solo persone con disabilità. E che i gravemente normodotati siano la minoranza.
Questo non solo per equilibrare la situazione corrente, che non è affatto inclusiva come dovrebbe essere nel terzo millennio, ma soprattutto per dare, appunto, un impulso potente al processo inclusivo: la TV accorcia di molto ogni tempistica, raggiunge milioni di persone e fa tendenza.
Gli abbiamo scritto in merito al passaggio televisivo di Donato Grande, che è stato ampiamente commentato da tanti nel mondo della disabilità, mentre sul fronte normodotato non si è levato nessun sopracciglio. Abbiamo accluso i contributi di quanti a noi sono venuti in mente che hanno commentato, che mettiamo in calce al post.
Abbiamo concluso la nostra lettera così:
“Lei direttore generale della Rai, l’uomo che supponiamo firmi tutte le cose che poi noi, gente comune vediamo in tv, che cosa ne pensa? Riesce a immaginarsi l’impatto che una simile trasmissione potrebbe avere sulla odierna società? E quanto potrebbe aiutare la categoria che ammonta a diversi milioni di persone?Ci permettiamo di rammentarle che la vita indipendente divenne una realtà grazie ad uno studente americano che voleva iscriversi all’università di Berkeley, nel 1962. Il rettore di quella università, che probabilmente era una persona davvero toga, gli disse che nonostante non ci fosse nessuna legge, regolamento o prassi che permetteva la sua iscrizione all’università, voleva aiutarlo e quindi decise di mettergli a disposizione l’infermeria del campus. Edward Verne Roberts, il ragazzo con disabilità che voleva prendere la laurea, era in un polmone d’acciaio. Era il 1962. Grazie a quel rettore, forse creativo o forse umano o forse incosciente, in tutto il mondo si affermò il principio della vita indipendente anche per le persone con gravissima disabilità.”.
Magari è il solito buco nell’acqua o magari qualcosa succede.
La foto ritrae i protagonisti di “Undateables” programma mandato in onda bell’aprile 2012 sulla rete britannica Channel 4.
Sofia Righetti: Ieri a Sanremo abbiamo assistito alla migliore lezione di abilismo, termini offensivi e discriminatori che ci portiamo dietro dal modello medico assistenzialisti della disabilità, inspiration porn, infantilizzazione, paternalismo, narrazione compassionevole e pietista. È stato invitato sul palco Donato Grande, attaccante della nazionale di Powerchair Football, e già subito il linguaggio utilizzato esemplifica il tipo di comunicazione abilista e pietista utilizzata. “Soffre di una patologia”“Sedia elettronica”“Chi soffre di disabilità”“Bambini portatori di handicap”“I ragazzi come Donato”, tutti termini usciti dalla bocca di Amadeus per parlare di Grande. Il culmine lo abbiamo quando arriva Zlatan Ibrahimovic così “ estremamente sensibile” per un tema che gli sta “molto a cuore”, che fa un regalo a Grande passandogli il pallone, e dicendogli “Fai il passaggio meglio di quelli nella mia squadra”, frase talmente falsa, stucchevole e paternalista da risultare stupidamente irritante.Perfino i vestiti scelti, come mi ha fatto sagacemente notare @immanuelcasto, sono stati scelti nell’ottica di una narrativa infantilizzante e pietista. Tutti gli ospiti in un contesto così istituzionale come Sanremo sono meravigliosamente eleganti, Donato Grande arriva vestito con la maglietta del calcio, i jeans e le scarpe da ginnastica. Ve lo immaginate Ibrahimovic a presentare con la maglia del Milan, jeans e scarpe da ginnastica? Sarebbe stato così fuori contesto da risultare ridicolo.Ed è questo il risultato che hanno voluto ottenere, perché questo è quello che è arrivato al pubblico: un attaccante disabile trattato come un bambino deficiente, togliendo la dignità e ponendo un confine netto tra chi è disabile e chi non lo è. Tra l’oppresso vittima di una narrativa pietista e chi detiene il potere, e decide la narrativa abilista.Io sono stanca, stanca che si possa accettare ancora questo tipo di rappresentazione sulla kermesse musicale più vista d’Italia, stanca che per colpa di questo si amplifichi l’abilismo non solo nelle persone, ma anche l’abilismo interiorizzato nelle persone disabili, perché nessuno vuole essere trattato come un minore a cui fare “pat-pat” sulla testa, denigrando l’orgoglio e la dignità della persona.Per tutt* voi che mi avete scritto che vi siete sentit* male a vedere quei sei minuti, sono orgogliosa di voi, perché avete riconosciuto il perfetto esempio dove il sistema di potere abilista e la narrazione umilia fino al degrado un uomo.Non possiamo e non dobbiamo mai più accettare token e raffigurazioni così vergognose, mai più. Dobbiamo avere persone disabili che vengano ascoltate e vigilino su lessico e concetti ogni volta che una persona con disabilità viene invitata in televisione. Ne vale della nostra dignità di esseri umani. Mattia Muratore: Dunque, già nei 30 secondi introduttivi, prima ancora dell’arrivo di Donato, Amadeus sgancia due boiate colossali che fanno accapponare la pelle e fanno subito intendere la direzione che verrà data all’incontro:- sedia elettronica (avesse detto direttamente “sedia elettrica” sarebbe stato forse meglio).- soffre di disabilità.Poi entra Donato. Fa quel che può, non si può dire niente, cerca di reggere quell’onda d’urto di tristezza e compassione che aleggia sulla sua testa al meglio delle proprie possibilità. Dopodiché, presentato in pompa magna, fa il proprio ingresso Ibra. Sia lui che Amadeus sono elegantissimi nel loro abito rossonero. Donato, invece, è in maglietta da gioco, jeans e scarpe da tennis. Ad enfatizzare ancora di più la differenza tra lui e loro, tra gli adulti e il bambino, tra i grandi e il piccolo. Anche Ibra è un atleta. Anche lui fa sport. Perché non l’hanno fatto salire sul palco in maglietta, pantaloncini, scarpe con i tacchetti e calzettoni? E poi, dev’essere uno scambio? E allora che scambio sia! Partendo dal presupposto che Donato, per ovvie ragioni, non può alzarsi in piedi e palleggiare con te, Zlatan, presentati tu sul palco seduto su una carrozzina da gioco come la sua e passatevi la palla! Te ne fai prestare una per 5 minuti e tac. Il gioco è fatto. Sarebbe bastata quell’immagine per cambiare il volto dell’incontro. Non solo non succede ma, come se non bastasse, Ibra se ne esce con una perla ATOMICA tipo “passi la palla quasi meglio dei miei compagni” dando così, in un colpo solo, dell’imbranato a Donato e dell’handicappato a tutti i giocatori del Milan. Non era facile. Chapeu! Si passa quindi al tema delle barriere architettoniche. Amadeus, testuali parole, dice: “…solamente il 5% dei parchi gioco sono adatti alle esigenze dei bambini portatori di handicap”. Tralasciando un attimo il “portatori di handicap” che gia di per se mette i brividi…PARCHI GIOCO??!! Ma veramente? Cioè noi abbiamo gli edifici pubblici che non sono accessibili, i tribunali che non sono accessibili, i marciapiedi che non sono accessibili, i mezzi di trasporto che lasciamo stare che è meglio e tu, Ama, tiri fuori i parchi gioco?! Con tanto di telecamera che immediatamente indugia sul viso di Donato Grande, che non è certo un bimbo bensì un uomo di una trentina d’anni che, forse, dei parchi gioco anche meno dai. Poi, per carità, ribadire il concetto che chi parcheggia nei posti per disabili è un coglione interstellare va sempre bene. Fare tutto ciò solo perché hai il disabile di turno sul palco e devi ottimizzare al massimo la sua presenza, un po’ meno. Veniamo, poi, allo scambio della maglia. Ibra regala a Donato la sua del Milan, con il numero 11 e il suo nome dietro. Ok. Perché, invece, la maglia di Donato che viene data a Ibra riporta anch’essa il n. 11 (quello di Donato è il 10 – lo si vede da quella che indossa) e soprattutto la scritta Ibrahomovic? È la maglia di Donato Grande? Che ci sia scritto Grande, che cazzo! Insomma, l’unica parola che mi viene in mente per riassumere tutto ciò che è accaduto è questa: PECCATO. È stata, senza dubbio, l’ennesima occasione persa. Sono straconvinto che sia Donato che la nostra Federazione volessero trasmettere un messaggio diverso. Un messaggio positivo, allegro, colorato, fatto di conquiste e cose belle. Sarebbe bastato limitarsi a parlare di Sport. Lo sport è, semplicemente, nella sua essenza più vera e profonda, tutto questo. E invece no. Mamma RAI, evidentemente, ritiene ancora che la narrazione più efficace quando si parla di disabilità sia questa qui. Sia il grande Campione ricco e famoso che regala un attimo di gioia e spensieratezza ad un povero bambino handicappato di 30 anni suonati omaggiandolo della sua maglia autografata. Sia ancora mettere i “disabili” e gli “altri” su due livelli diversi. Sia ancora enfatizzare più la malattia che la persona. Non è così, cazzo. O almeno, non è più così. La storia è cambiata. C’è bisogno di altro. Questa è roba vecchia, bollita, obsoleta. I disabili come Donato sono persone con due palle grandi come una casa, che si fanno un culo quadro ogni giorno per ritagliarsi la loro vita, i loro spazi, i loro diritti, la loro felicità. Per imporsi, al meglio delle loro possibilità, nella società in cui vivono. Per assicurarsi un futuro. Come voi. Come tutti. Iniziate a parlare di questo. Iniziate a parlare di vita vera. Sorelle Paolini: Facciamo qualche riflessione su Sanremo e l’ospitata di Donato Grande e Zlatan Ibrahimovic, due calciatori – uno in carrozzina e l’altro no. Si presentava il Powerchair Football, ma il linguaggio di Amadeus è stato pessimo: “Soffre di disabilità”, “Portatore di handicap”, “I ragazzi come Donato”, e in generale tutto un atteggiamento paternalistico. Un tono che non sarebbe stato usato con un atleta non disabile. C’era un doppio standard palese. Sanremo è lo spettacolo a tutti i costi, con gli sketch di Amadeus e Fiorello sul fatto che uno dei due potrebbe essere gay ahahah che ridere, con le storie “ispiranti” di realizzazione individuale in ottica capitalista, con la grassofobia e la misoginia, e tanto altro. Con quelle che sono percepite essere le narrazioni “che funzionano”. Ci pare utile, da persone in carrozzina, raccontare che quando siamo state invitate da “grossi” programmi della RAI abbiamo mandato delle linee guida sulla narrazione che volevamo (dopo averci sbattuto i denti, abbiamo cominciato a farlo di routine con i giornalisti). Ma non ci hanno più risposto. Tre inviti e altrettante sparizioni: senza la narrazione che volevano non erano più interessati. Un’altra volta abbiamo pesato i rischi e partecipato a una trasmissione senza anticipare nulla, e ci hanno presentato in modo degradante. Quando è stato il nostro turno di parlare abbiamo sputato fuori con difficoltà anche una frase sulla segregazione delle persone disabili. Dopo quella dichiarazione, il segmento è stato concluso in modo affrettato, tagliando sulla scaletta. Non vogliono rinunciare a delle cose che “funzionano”, e non hanno intenzione di cambiare su incoraggiamento o richiesta del singolo.Facciamo tutti in modo che le narrazioni sopra elencate non funzionino più! Facciamolo in tanti. Valentina Tomirotti: Il festival dell’abilismo stona Francesca Cicirelli: Mi ero imposta di non esprimere pubblicamente il mio parere sulla presenza di giovedì sera di Donato Grande sul palco dell’Ariston al Festival di Sanremo per evitare che il mio punto di vista potesse essere erratamente giudicato come una ripicca a dissapori precedenti. Ma ora, considerando il disappunto espresso e motivato da alcuni, ritengo doveroso esprimere il mio parere sulla vicenda e poi lanciare una sfida all’azienda RAI affinché dall'”errore” compiuto da Donato possa nascere una vera opportunità. Premetto che giovedì ho personalmente incoraggiato privatamente Donato e mi sono impegnata attivamente e spontaneamente nella diffusione della notizia riguardante la partecipazione al Festival di Sanremo. Ero veramente felice della sua partecipazione al Festival. Ho visto in questa partecipazione una grande opportunità di promozione di due discipline sportive poco conosciute nella Nazione e una bella possibilità di rendere pubblico, su un importante palcoscenico, una realtà di integrazione riuscita. Ma non è stato così. Si è persa la partita! Ciò che ho visto ieri sera è stato un ragazzo che, con sua silente e accomodante approvazione, ha permesso che si facesse spettacolo della disabilità purché venisse realizzato un suo sogno. Peccato che dietro la realizzazione del sogno e in quella maglia (che tutt’al più poteva essere accompagnata con un abbigliamento più adeguato a un ruolo istituzionale e alla situazione) ci sono i sacrifici di tante persone che non sono state minimamente prese in considerazione. Di questi sport a differenza dal calcio praticato da Zlatan non si vive, non ci si riempie i conti, ma questi aiutano a chi si avvicina ad essi come protagonisti o anche spettatori ad affrontare la vita con più leggerezza, se vissuti con sano spirito sportivo. Credo che nessuno degli spettatori abbia pur vagamente compreso come vengono praticati il Powerchair Hockey e il Powerchair Football, a parte chi già conosce gli sports, di cui Donato avrebbe dovuto farsi promotore, avendo avuto l’appoggio anche di alte cariche sportive e indossando una maglia con simboli federali, non un normale smoking. Forse sarebbe stato più bello e ricco di emozioni mostrare attraverso un video le due discipline sportive, mostrando la grande vittoria della Nazionale di Wheelchair Hockey ai Mondiali 2018 e non battezzando Donato bomber di una Nazionale di Powerchair Football inesistente. Ma questa non è nemmeno una colpa propriamente attribuibile a Donato ma forse a chi gli ha dato carta bianca e troppo fiducia. Non è stata nemmeno vagamente nominata la Federazione sportiva rappresentata, non è stata nominata nemmeno la squadra dove Donato disputa nel ruolo di Capitano, pensare alla vaga nomina di una disciplina sportiva appartenente alla stessa Federazione sportiva ma non praticata da Donato Grande sarebbe utopia. Mi viene spontaneo pensare che l’unico obiettivo della serata di Donato era fare qualche passaggio con Zlatan Ibrahimovic, ricevere la sua maglia e godersi qualche momento di effimera notorietà personale. È normale che questo abbia potuto scatenare la disapprovazione di chi ha fatto forse anche più sacrifici negli anni per lo sport e per permettere che avvenisse un’integrazione schiacciante dello sport verso la disabilità. Andare in una qualunque trasmissione televisiva e parlare di disabilità è un conto, andare su un importante palcoscenico in qualità di atleta e in rappresentanza di una Federazione sportiva è un’altra storia! Puoi strumentalizzare ciò che ti appartiene ma non puoi strumentalizzare i sacrifici di altri atleti, società sportive e società sponsor che in questi anni hanno creduto e si sono impegnati per portare avanti importanti progetti sportivi. Questo è individualismo, tutt’altro che gioco di squadra! Con l’individualismo si perde, insieme si vince sempre! Allora, siccome demolendo senza provare a trovare soluzioni o applaudendo senza avere un’ottica obiettiva e un pò critica credo che non si arriva da nessuna parte, azzardo quella che ritengo essere una proposta abbastanza coraggiosa, consapevole che probabilmente non verrà realizzata o anche non verrà esaminata, ma come canta De Gregori un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Pertanto, per quanto sopra esposto, chiedo ai Dirigenti dell’azienda RAI e agli stessi conduttori del Festival di Sanremo 2021 di impegnarsi, sin da ora, a trasmettere, in diretta su una rete RAI, una manifestazione, organizzata in sintonia con la stessa Federazione Italiana Paralimpica Powerchair Sport, in cui verrà prevista una gara di Powerchair Football e una di Powerchair Hockey. Solo in questo modo secondo me sarà possibile trarre da questa vicenda una grande opportunità, offrendo agli atleti che si sono sentiti offesi dalla rappresentanza al Festival quella rivincita meritata, a entrambe le discipline sportive quella giusta visibilità alla pari di altri sport e alla società tutta di uscire da vecchi e vani stereotipi concedendosi la possibilità di conoscere quel bello che ad oggi pochi hanno avuto la fortuna di conoscere!
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